Mi è capitato sottomano un documento che parla di Armando Gill, uno “chansonnier” napoletano che probabilmente pochi ricordano, se non i più “datati” per anni e ricordi.
Io lo ricordo sia per l’una che per l’altra cosa, nonché per la circostanza che nel dopoguerra, parlo ovviamente della seconda guerra mondiale, della quale purtroppo sono figlio, nei pochi momenti di tranquillità che le fatiche della vita ci riservavano, il mio papà, che suonava il mandolino e cantava, intratteneva la famiglia proprio deliziandola con le due cose.
All’epoca la televisione non esisteva, la radio invece si, ma pochi potevano permettersela, e le serate e i momenti liberi venivano riempiti o con le funzioni religiose, quasi quotidiane, o con racconti di ricordi e storielle, oppure riunendosi intorno a chi aveva il dono della voce, e magari di uno strumento, e non erano in molti.
Il mio babbo era uno di questi, e tra le varie canzoni e melodie che suonava e cantava, ricordo quelle di Armando Gill che è stato uno dei primi, se non il primo, benché napoletano, cantautore della storia della canzone italiana.
Quando si parla di cantautori, il pensiero in genere va a Endrigo (il Cantautore dell’amore, il mio preferito), a De André, a Dalla, a Guccini, a Baglioni, e a numerosi altri, ma nessuno va a pensare che il filone venne inaugurato, all’inizio del secolo scorso, da questo cantante e autore napoletano che spaziò dalle macchiette e canzoni napoletane a quelle italiane, lasciandoci pezzi memorabili come, solo a titolo di esempio, la celebre “Come pioveva” interpretata da innumerevoli cantanti italiani, leggeri e classici.
Armando Gill, pseudonimo di Michele Testa era nato a Napoli il 23 luglio 1877, terzo di sei figli, dal proprietario di una piccola distilleria di liquori, facente parte, quindi, di una piccola borghesia che si poteva permettere di assicurare ai figli un avvenire dignitoso.
Il figlio Michele (Armando) studia all’Istituto Chierchiae poi si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, frattanto frequenta le cosiddette “periodiche”, feste organizzate dalla buona borghesia partenopea, durante le quali inizialmente si esibisce come cantante; le continue frequentazioni e i successi riscossi, sintomo delle sue indubbie qualità artistiche, lo portano ad abbandonare gli studi ad un anno dalla laurea per intraprendere definitivamente l’attività di attore e cantante, e firma un primo contratto con lo storico Salone Margherita, che era stato inaugurato, all’interno della Galleria Umberto I, il 15 novembre 1880, sulla scia dei più celebri “cafe’ chantant” francesi (il “Folies Bergere” o il “Mouline Rouge” parigini).
Armando Gill (pseudonimo preso dal leggendario spadaccino Martino Gill vissuto all’epoca di re Filippo II), che già durante la scuola aveva stupito per la sua bravura i colleghi e gli insegnanti, ottiene al Salone Margherita un successo strepitoso, anche perché inizia a presentare le sue composizioni come compositore autodidatta.
Sulla scena è un artista molto apprezzato, elegantissimo sempre in frac col papillon bianco e il monocolo per mascherare il marcato strabismo, raffinato, affascinante con quella sua voce in falsetto, il ciuffo dei capelli, pure se inizialmente la critica lo ignora anche per il suo falsetto e l’intonazione alquanto traballante, in controtendenza con la più apprezzata scuola dell’epoca, che privilegia i cantanti “di voce”.
Ma la critica, si sa, nulla può contro le preferenze del pubblico che adora Gill, il quale sa assecondarne le preferenze con melodie indimenticabili, quale, ad esempio, la popolare “Come pioveva” del 1918.
A proposito della quale, c’è da ricordare un episodio che fa comprendere anche le notevoli capacità comunicative/imprenditoriali di Gill che, una mattina dell’estate del 1918, fece tappezzare Napoli da centinaia di manifesti sui quali compariva solo l’immagine di un ombrello: in tanti si chiesero cosa volesse significare, e pensarono che si riferisse all’apertura di un nuovo negozio oppure al lancio di una nuova marca di ombrelli; dopo qualche settimana quei manifesti vennero coperti da altri che recavano anche la frase “Come pioveva”, e la cosa ancora di più attirò l’attenzione delle persone, la cui curiosità venne poi appagata allorquando, con una ulteriore affissione, comparvero manifesti che recavano anche il nome dell’artista.
Ulteriore testimonianza delle qualità comunicative di Armando Gill è data dal servizio militare reso durante la prima guerra mondiale: nonostante lo strabismo, venne chiamato al servizio militare in marina e venne dato per disperso allorquando la nave sulla quale era imbarcato venne affondata; non si sa come Armando Gill si salvò e un mese dopo, quando già tutta Napoli era invasa dai necrologi, al Teatro Trianon debuttò con la rivista “Gill l’affondato”.
Il periodo di maggiore popolarità di Gill va dal 1916 al 1926; in questi anni fondò una compagnia teatrale e mise in scena diverse riviste.
Rilevante la sua produzione di canzoni, in dialetto partenopeo, tra le quali le più note sono “Nun so’ geluso” del 1917, “E quatto ‘e maggio” del 1918, “O zampugnaro nnammurato” pure del 1918, “Bella ca bella si” del 1919 e “Palomma” del 1926; e quelle in italiano tra cui “Stornelli montagnoli e campagnoli” del 1909, “Stornelli spagnoli” pure del 1909, “Bel soldatin” del 1910, oltre alla celeberrima “Come pioveva” del 1918.
Armando Gill è anche ricordato per essere un autore di testi scevri dallo stile arcaico che all’epoca imperava, e densi di quotidianità umanità (si pensi alla celebre “Palomma”) e, infine, per un duello in rima sostenuto con l’altrettanto celebre “chansonnier” romano Ettore Petrolini.
I due, una sera, si incontrarono per caso nella trattoria romana allora appena aperta, “Alfredo alla Scrofa”, ora notissima per aver ospitato artisti di fama mondiale, quali Brigitte Bardot, Frank Sinatra, Jimmy Hendrix, Sophia Loren. I due, senza conoscersi personalmente, iniziarono a punzecchiarsi in versi, e la cosa andò avanti per un bel pezzo con il gaudio degli altri avventori, fino a quando Petrolini, riconoscendo Gill, gettò la spugna e lo invitò al suo tavolo.
Armando Gill, come tutti i grandi artisti, si faceva amare perché egli era il primo che, esibendosi per divertire il pubblico, si divertiva, ed aveva anche un forte senso di autoironia, che dimostrava in tante occasioni, e anche quando, presentando le proprie canzoni, era solito firmarle: “Versi di Armando, musica di Gill, cantate da sé medesimo”; altri tempi.